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Quanto, meglio dell'energia unica di uno sguardo cinematografico, è in grado di restituirci oggi, a più di mezzo secolo di distanza, tutto il peso morale, umano e politico di ciò che oggi viene definito un dettaglio, relegato nell'oblio da fantapolitica? E' il segreto, nella vita di Benito Mussolini, che la storia ufficiale ha continuato a ignorare: una donna, forse una moglie, Ida Dalser, e un figlio, Benito Albino, concepito, riconosciuto e quindi ignorato. Ida che ha incontrato Mussolini a Milano attorno al 1910, ardente socialista, arringatore di folle e direttore dell'Avanti. Per lei, è l'inizio di una passione irreversibile, che la fa vendere tutti i propri beni per finanziare Il Popolo d'Italia, e il futuro partito fascista. Ma l'ascesa politica coincide con l'allontanamento del Duce: Ida scoprirà l'esistenza di una moglie, Rachele Guidi, e di una figlia, Edda. Ida rifiuterà di ammettere la messa al bando, continuerà a reclamare la propria condizione di sposa e di madre. Spiata, separata dal figlio, internata di forza fra le malate di mente finirà, come il figlio, la propria vita in manicomio.

Affresco sterminato, praticamente impossibile da circoscrivere nei suoi sconfinamenti fra pubblico e privato. Poteva riuscire solo a un regista padrone dell'intuizione espressiva, dell'invenzione folgorante dell'immagine come Marco Bellocchio: che queste due Storie dalle pericolosamente diverse maiuscole riesce a fondere, fino a farne quasi una somma della propria opera, tutte le componenti del proprio mondo intimo e creativo. Non l'impossibile cronaca storica, quindi, ma un melodramma, dall'eroico (ma ironico, grottesco) sapore antico: che penetra la passione dei corpi e i tormenti dell'intimo, per indagare l'altro furore, assai più ambiguo e perverso, della rincorsa al potere. Dopo l'inizio, memorabile di sensualità, ma egualmente permeato d'energia che si fa violenza, passione che già rivela l'aggressione, i corpi si separano, l'uomo ripudia la donna, la Storia cancella tutte le donne per farne fantocci da cinegiornale. E il film confina Mussolini nella distanza, sempre più tragica, sempre più grottesca, delle attualità d'epoca.

Itinerario affascinante, che VINCERE traduce nel segno dei segreti che lo sguardo del cineasta ci rivela dai tempi di I PUGNI IN TASCA. I nodi all'interno della famiglia, la ricerca di una guida, la tentazione della trasgressione; quando la fragilità dei propri ideali viene a scontrarsi con l'oppressione dei conflitti sociali e politici. Ecco, allora, le soluzioni che l'immaginario poetico di Bellocchio impreziosisce da sempre: le ombre profonde e le luci (la fotografia di Daniele Ciprì) dalle quali si estirpano a fatica i personaggi, le dominanti che degradano alle mezze tinte del bianco e nero al seppia della memoria ormai evanescente, i soprassalti imperiosi degli echi sonori e degli squarci operistici delle musiche, il montaggio spregiudicato (sempre, Francesca Calvelli) che accosta la fragilità dei sentimenti, il rifugio nella follia, alla grandiloquenza crudele e ignorante dei calcoli esterni. Ecco, metafore difficili da scordare: la colonna degli orfani ciechi, umanità alla deriva che sfila nella nebbia del parco accanto alla panchina degli amanti. O quelle sbarre del manicomio, attraverso le quali disperdere nella neve che cade le lettere disperate, destinate a non venire mai lette.

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MASTERPIECES TO REVIEW: IN DVD, STREAMING, VOD...

* * * *   VINCERE, by Marco Bellocchio, with Giovanna Mezzogiorno, Filippo Timi, Faust Russo Alesi, Michela Cescon, Piergiorgio Bellocchio (Italy, 2009)

    Review date: March 11, 2011

How much better than the unique energy of a cinematic gaze is it able to give us back today, more than half a century later, all the moral, human and political weight of what today is defined as a detail, relegated to oblivion by political fantasy? It is the secret, in the life of Benito Mussolini, that the official story has continued to ignore: a woman, perhaps a wife, Ida Dalser, and a son, Benito Albino, conceived, recognized and therefore ignored. Ida who met Mussolini in Milan around 1910, an ardent socialist, harasser of crowds and director of the Avanti. For her, it is the beginning of an irreversible passion, which makes her sell all her assets to finance Il Popolo d'Italia, and the future fascist party. But the political rise coincides with the departure of the Duce: Ida will discover the existence of a wife, Rachele Guidi, and a daughter, Edda. Ida will refuse to admit the ban, she will continue to claim her status as bride and mother. Spied on, separated from her son, interned by force among the mentally ill will end, like her son, her own life in an asylum.

Exterminated fresco, practically impossible to circumscribe in its encroachments between public and private. It could only succeed to a director master of the expressive intuition, of the dazzling invention of the image as Marco Bellocchio: that these two Stories with dangerously different capital letters manage to merge, to the point of making almost a sum of his work, all the components of his intimate and creative world. Not the impossible historical chronicle, then, but a melodrama, with a heroic (but ironic, grotesque) ancient flavor: that penetrates the passion of bodies and the torments of the intimate, to investigate the other furor, much more ambiguous and perverse, of the chase to power. After the beginning, memorable of sensuality, but equally permeated with energy that becomes violence, passion that already reveals the aggression, the bodies separate, the man repudiates the woman, history erases all women to make them into newsreel puppets. And the film borders Mussolini in the increasingly tragic, increasingly grotesque distance of period news.

Fascinating itinerary, which Vincere translates in the sign of the secrets that the look of the filmmaker reveals to us since the time of I pugni in tasca. The knots within the family, the search for guidance, the temptation of transgression; when the fragility of one's ideals comes up against the oppression of social and political conflicts. Here, then, are the solutions that Bellocchio's poetic imagination has always embellished: the deep shadows and the lights (Daniele Ciprì's photography) from which the characters are struggling to extirpate themselves, the dominant ones that degrade to the half tones of black and white to the sepia of the now evanescent memory, the imperious overtones of the sound echoes and of the operatic glimpses of the music, the unscrupulous editing (always, Francesca Calvelli) that brings together the fragility of feelings, the refuge in madness, the cruel and ignorant grandiloquence of external calculations. Here, metaphors difficult to forget: the column of blind orphans, humanity adrift in the fog of the park next to the lovers' bench. Or those bars of the asylum, through which desperate letters, destined never to be read, are dispersed in the falling snow.

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